8
Products
reviewed
597
Products
in account

Recent reviews by Tommy_V

Showing 1-8 of 8 entries
2 people found this review helpful
31.3 hrs on record (31.2 hrs at review time)
Premessa: questa recensione contiene degli spoiler. Sono indicati in questo modo.

Mad Max è un gioco open-world di avventura/azione sviluppato da Avalanche Studios basato sull'omonima serie cinematografica post-apocalittica. Nel gioco si impersonerà il personaggio che dà il nome alla serie, alla ricerca di vendetta e di una nuova auto con cui poter vagare per le lande sabbiose.

Storia
Il gioco si apre con il protagonista che, in modo molto cruento, uccide il tirannico signore della guerra Scabrous Scrotus (sì, avete letto bene) con la sua stessa arma. Presto, però, viene a sapere che il despota non solo è rimasto miracolosamente in vita, ma è più crudele di prima, e in cerca della resa dei conti. Max fa la conoscenza di Chumbucket, un uomo piccolo e deforme che lo venera come un santo, e insieme a lui recupera una macchina - o almeno ciò che ne resta - che viene battezzata come Magnum Opus. Da questo momento nasce una relazione quasi simbiotica: Chum è un bravo meccanico e conosce i luoghi e le persone, mentre Max è "il guidatore", il prescelto che porterà a compimento le strane profezie dell'ometto.
La storia si integra decisamente bene con l'ambientazione presentata all'interno del gioco. Ho gradito soprattutto la prima metà, dove vengono presentate le meccaniche attraverso l'interazione con il mondo e in cui sono introdotte le relazioni tra i vari personaggi. Tutta la parte che segue l'arrivo a Gastown mi è invece piaciuta meno. In particolare, la relazione tra Max e Hope è stata gestita decisamente male, mi dà l'impressione che sia stata inserita solo per dare al protagonista un interesse romantico. In modo simile, la figlia Glory esiste solo per creare affezione, in modo da suscitare una qualche sensazione alla sua morte. Il problema è che dal momento in cui la si vede per la prima volta a quello in cui muore passa una sola missione, per cui diventa impossibile affezionarcisi. Ho anche da ridire sul finale, in cui Max sacrifica la sua macchina e la vita di Chum per tentare di uccidere Scrotus. Sebbene annientare il cattivo sia uno degli impulsi che lo guidano in questa avventura, il possedere una macchina affidabile è di pari, se non di maggiore importanza, come esprime nelle prime ore di gioco, in cui ne è privo. Pertanto il sacrificare il suo veicolo, nonché tradire la fiducia di colui che l'ha assistito per tutta l'avventura, mi sembra una decisione non completamente coerente con il personaggio. Tutto questo rende Max fin troppo poco emotivo ai miei occhi, al limite dell'umanità. Tuttavia, avendo solo visto Fury Road tra i film della serie, non mi sorprenderebbe se mi venisse detto che il personaggio è stato pensato in questo modo, nel qual caso le considerazioni di cui sopra si possono parzialmente ignorare.
In conclusione la storia, sebbene parta col piede giusto, è uno degli aspetti che mi ha deluso, soprattutto per quanto riguarda il finale.

Gameplay
Come in molti giochi open-world, in Mad Max è possibile esplorare tutto il mondo di gioco a piedi in terza persona. È inoltre fondamentale l'utilizzo della macchina per spostarsi tra le distese desertiche.
La guida nei veicoli ha sia pregi che difetti. Tutte le auto possiedono delle statistiche, tra cui la "manovrabilità": le macchine con un valore basso in questa caratteristica si guidano decisamente male. È come se ci fosse un ritardo tra la pressione e l'esecuzione, in più la macchina continuerà a sterzare anche per qualche frazione di secondo dopo aver rilasciato il pulsante. Che sia voluta o meno, questa meccanica dà decisamente fastidio. A parte questo, la guida è accettabile, anche se sicuramente perfezionabile - il che non è cosa da poco, in un gioco di cui le macchine sono una delle colonne portanti. Tra i lati positivi, è molto piacevole affrontare altri veicoli: è possibile speronare frontalmente e lateralmente o usare armi come arpioni e bruciatori laterali. Le meccaniche di puntamento sono semplici, ma soddisfacenti.
A piedi, il combattimento assume grande importanza. Si tratta, essenzialmente, di una versione semplificata delle meccaniche usate nella serie Batman Arkham, in cui si alternano attacchi, parate e mosse speciali quasi in una sorta di rhythm game. In Mad Max, tuttavia, la componente di "ritmo" è molto ridotta, e il risultato è un combattimento ugualmente fluido e soddisfacente. La ripetitività è spezzata dall'utilizzo di armi e mosse speciali, oppure dal dover affrontare avversari particolari e boss.
Guardandolo da un'ottica più grande, il gioco è pieno di obiettivi opzionali: accampamenti da assaltare, campi minati da disarmare, missioni secondarie, corse in macchina, torri da abbattere, convogli da eliminare... La grande varietà è decisamente uno dei suoi punti forti, ma può essere un'arma a doppio taglio per i giocatori che, come me, si prefiggono di completare i giochi al 100%: l'insieme degli obiettivi secondari può tranquillamente richiedere un centinaio di ore, probabilmente di più.

Ambientazione e grafica
L'ambientazione è il punto di forza del gioco: dovunque ci si giri, in Mad Max sarà sempre presente un paesaggio mozzafiato, nonostante il mondo sia quasi completamente ricoperto dalla sabbia. È estremamente interessante il modo in cui il paesaggio dei nostri tempi sia stato reinterpretato in chiave post-apocalittica: alcuni sopravvissuti, per esempio, hanno preso dimora all'interno di relitti di navi o aerei semi-distrutti; la città di Gastown sorge su un impianto di raffinazione, all'interno del quale si trova ora un ghetto; un aeroporto invaso parzialmente dalla sabbia è diventato una "grotta dei tesori" ed è protetto da una temuta gang che dimora nell'ombra; il predicatore Deep Friah ha fondato una religione attorno alla "fiamma sacra" che fuoriesce dalle tubature di una fabbrica. Tutti questi elementi danno personalità sia ai personaggi che al mondo di gioco nel suo complesso.
Un'altra cosa non da poco è il fatto che sia presente un ciclo giorno-notte che scorre in tempo reale (ovviamente, più in fretta di quello terrestre).
La grafica è molto gradevole. Aumentando le impostazioni al massimo non solo i dettagli sono ben realizzati, ma gli effetti della luce e dell'ombra sono resi nel miglior modo possibile: per esempio, utilizzando la torcia, solo la zona esattamente davanti a Max sarà illuminata, come è giusto che sia. Ho molto apprezzato anche l'effetto "polveroso" che si nota in controluce in alcune zone chiuse.

Colonna sonora
La componente audio è senza infamia e senza lode. Tutti gli effetti si integrano perfettamente nell'ambientazione post-apocalittica, ma al contempo non ho trovato alcuna traccia memorabile. Gran parte del gioco sarà spesa vagando per i silenziosi deserti con il rombo del motore come unica compagnia, situazione che crea un'atmosfera davvero suggestiva.

Conclusione
Mad Max è un gioco a cui consiglio di giocare a tutti coloro che sono in cerca di qualcosa di non troppo impegnativo e dall'ambientazione unica e spettacolare. Le missioni secondarie da sole consumeranno ore e ore di gioco senza annoiare, almeno fino a quando non si verrà sopraffatti dall'enorme quantità a disposizione. La storia e i personaggi sono interessanti e si integrano bene nel gioco, ma la piega presa verso la fine dell'avventura può risultare stereotipata e forzata, pertanto consiglio di abbassare le aspettative. Tra i punti di forza ricordo la personalizzazione dei veicoli, l'atmosfera, il doppiaggio (anche se non si spiega perché solo Max e Griffa abbiano un accento del luogo), le animazioni e la pressoché totale assenza di bug (ne ho incontrato solo uno).
Posted October 26, 2019. Last edited November 29, 2020.
Was this review helpful? Yes No Funny Award
2 people found this review helpful
123.9 hrs on record (110.3 hrs at review time)
Premessa: il gioco è disponibile unicamente con doppiaggio in giapponese e sottotitoli in giapponese o inglese, se non conoscete nessuna di queste lingue vi sconsiglio di giocarci.

Yakuza Kiwami è un gioco RPG/open-world di combattimento prodotto dalla SEGA. Si tratta del remake del gioco conosciuto in occidente come Yakuza, primo della serie, ed è cronologicamente il secondo, preceduto da Yakuza 0, anch'esso su Steam e che ho già recensito, motivo per cui vi accennerò più volte.

Storia
La storia comincia sette anni dopo quella di Yakuza 0, nel 1995. Il protagonista, Kazuma Kiryu, è un capace e promettente membro della yakuza in procinto di ottenere un'importante promozione, ma una sera tutto cambia: egli decide di prendersi la colpa di un grave omicidio, tutto al solo scopo di proteggere il perpetratore, a cui tiene molto, e finisce in prigione. Passa così un decennio e, una volta libero, si accorge che le cose sono cambiate; tuttavia il suo legame col mondo criminale rimane e, prima che se ne accorga, è sulle tracce di una persona a lui cara, ora scomparsa, mentre si vede costretto, seppur a malincuore, ad affrontare colui che un tempo chiamava amico.
Il resto della storia di Kiryu è senza dubbio interessante: ciò che la rende tale è il susseguirsi frequente di colpi di scena, espediente utilizzato in tutti i giochi della serie e che spinge il giocatore ad avanzare nella trama per scoprire come le cose si risolveranno. Il merito è anche dei personaggi, alcuni familiari, come Date, il "poliziotto d'azione che disobbedisce agli ordini per vederci chiaro", altri come contrapposti al bieco mondo criminale, come la bambina Haruka, in cerca di sua madre, e la barista Serena, su cui Kiryu e Nishiki, fratello giurato del protagonista, possono sempre fare affidamento.
Oltre alla storia principale il gioco presenta numerosissime missioni secondarie, spesso molto "giapponesi" nel loro umorismo: ecco allora che incontreremo un criminalucolo che vuole diventare nostro seguace e che dovremo puntualmente salvare da ogni pessima situazione in cui si va a cacciare, oppure ancora finiremo col farci intervistare per una rivista sui cosiddetti BAD-boy e dovremo competere con altri due altrettanto "BAD-boyosi" personaggi per decidere chi sia il migliore. Diverse storie secondarie evidenziano il lato "oscuro" del quartiere di Kamurocho e includono imbroglioni, membri della yakuza e persone poco raccomandabili, che dovremo puntualmente convincere a suon di pugni; altre hanno invece una morale, come "non giudicare un libro dalla copertina" o "aiuta uno sconosciuto in difficoltà e sarai ricompensato". Al contrario che in Yakuza 0, in questo gioco è presente una manciata di missioni secondarie completamente doppiate e con filmati renderizzati, come nella storia principale, che alzano decisamente la qualità dei contenuti del gioco.

Gameplay
Il gioco usa lo stesso engine di Yakuza 0, quindi funziona pressoché allo stesso modo.
Per buona parte del tempo saremo liberi di muoverci per il quartiere di Kamurocho, a Tokyo, e provare i diversi ristoranti, parlare con la gente, avviare minigiochi e avanzare nella trama o nelle storie secondarie. Ogni tanto si troveranno nemici per strada e dovremo fuggire o affrontarli. Sono anche presenti oggetti collezionabili, che, piccolo consiglio, si possono rintracciare un po' più facilmente acquisendo l'equipaggiamento necessario da Bob Utsunomiya (il gioco spiegherà di chi si tratta).
La maggior parte delle questioni nel gioco sono risolte attraverso il combattimento, di cui parlo in dettaglio qui[pastebin.com], per questioni di spazio.
Infine sono presenti una miriade di minigiochi che, talvolta, siamo spinti a provare dalle diverse storie secondarie. La maggior parte di essi sono gli stessi, seppur in numero minore, di quelli di Yakuza 0: compaiono bowling, mahjong, shogi, giochi d'azzardo orientali e occidentali, biliardo, freccette, slot car, karaoke e così via. Altri sono reinterpretazioni di quelli trovati nel prequel, come MesuKing, i cabaret club o l'UFO Catcher. L'unico minigioco nuovo è la cabina delle foto, piuttosto corto e semplice, ma con qualche sorpresa.

Majima Everywhere
Una nota importante va al sistema "Majima Everywhere", che ho trovato molto divertente e che occupa una parte considerevole del gioco. Per questioni di spazio, ne parlo qui[pastebin.com].

Grafica
Come ho già detto, il gioco utilizza lo stesso engine del suo predecessore, quindi il comparto grafico è esattamente identico a quello di Yakuza 0. I modelli dei personaggi nel complesso sono realizzati piuttosto bene, ma sono specialmente apprezzabili durante i filmati della storia principale. La città si presenta bene, con negozi, bar e palazzi molto credibili, completi di insegne accattivanti e quant'altro. Una pecca è data dalle animazioni delle missioni secondarie, di basso numero e spesso riciclate.

Colonna sonora
La musica del gioco è decisamente apprezzabile, sempre azzeccata e adatta alla situazione. Le canzoni (originali) che si possono provare al karaoke sono realizzate molto bene, tanto da sembrare autentiche canzoni giapponesi degli anni 2000; il merito è anche del doppiatore di Kiryu, Takaya Kuroda, che è anche cantante. Ho inoltre apprezzato molto i motivetti utilizzati nelle storie secondarie, anche se sono usati piuttosto di rado. Infine, ho trovato alcune musiche meno memorabili rispetto a quelle di Yakuza 0, in particolare quelle di combattimento, che reputo dotate di meno carattere.

Bug e problemi
Sono davvero soddisfatto del modo in cui la SEGA sta affrontando la risoluzione dei problemi. All'uscita il gioco presentava qualche bug, spesso innocuo o risolvibile smanettando con le impostazioni di gioco; ciò che però apprezzo è lo sforzo degli sviluppatori che circa ogni settimana fanno uscire patch, correggendo errori di volta in volta. Il bug più grave che ho incontrato non permetteva di avanzare in una missione secondaria sbloccata dopo aver concluso la storia principale, ma è stato risolto. In questo momento, l'unico bug fastidioso di cui sono a conoscenza riguarda il non funzionamento del comando per invertire l'asse Y, ma per fortuna colpisce pochi utenti (come me) che, purtroppo, dovranno abituarsi fino a tempo debito.
Come Yakuza 0, anche questo gioco soffre di controlli non proprio gradevoli della telecamera col mouse, ma trovo che aumentare la sensibilità aiuti.

Perché "Kiwami"?
Venuto a conoscenza di questo gioco, una delle prime domande che mi sono posto è stata quali fossero le differenze tra il remake e il gioco originale. Mi sono quindi informato; se anche a voi interessa sapere dei cambiamenti, li ho elencati qui[pastebin.com].

Yakuza 0 o Yakuza Kiwami?
Spesso viene chiesto con quale dei due giochi iniziare, soprattutto perché in questo momento Yakuza 0 e Yakuza Kiwami sono entrambi disponibili su Steam. Entrambe le scelte sono valide, mi limito a elencare alcuni vantaggi e svantaggi qui[pastebin.com].

Conclusione
Yakuza Kiwami è un gioco a cui vale la pena giocare. Non sarà lungo come Yakuza 0, non avrà la stessa abbondanza di contenuti e la storia non sarà allo stesso livello, ma in fin dei conti è il gioco di apertura di una serie che ha dato vita a numerosi seguiti, spin-off e personaggi memorabili. Da tempo essa è stata veramente apprezzata solo in Giappone e da pochi appassionati, ma di recente la SEGA si sta sforzando per rendere disponibile tutta la serie anche su computer. Sono certo che chiunque riuscirà ad apprezzare una saga senza tempo come quella di Yakuza.
Posted March 16, 2019. Last edited March 16, 2019.
Was this review helpful? Yes No Funny Award
No one has rated this review as helpful yet
276.2 hrs on record (141.9 hrs at review time)
Premessa: il gioco è disponibile unicamente con doppiaggio in giapponese e sottotitoli in giapponese o inglese, se non conoscete nessuna di queste lingue vi sconsiglio di giocarci.
Questa recensione sarà priva di spoiler.


Yakuza 0 è un gioco open-world e di combattimento prodotto dalla SEGA in cui vestiremo alternativamente i panni di due personaggi, entrambi invischiati in un modo o nell'altro con la yakuza e le cui storie si intrecceranno.

Storia
Il primo personaggio, Kazuma Kiryu, è uno yakuza che viene incastrato da altri criminali di alto rango e incolpato di un omicidio che non ha commesso. Le circostanze in cui il delitto è avvenuto aggravano la situazione, tanto che egli è costretto a farsi espellere dal gruppo mafioso nella speranza di poter rintracciare il vero colpevole, riscattarsi e proteggere il suo boss/figura paterna, responsabile della sua condotta.
Il secondo personaggio è Goro Majima, ex-yakuza costretto ad abbandonare il crimine organizzato per aver disobbedito al suo capo. È disposto a tutto pur di rientrare nel giro e ciò lo rende facilmente sfruttabile dal perfido Sagawa. Costui si mostra disposto a esaudire la sua richiesta in cambio di un omicidio; Majima accetta, ma qualcosa lo spinge ad avere ripensamenti e decide di vederci chiaro.
La storia è realizzata molto bene e anche una persona come me, che spesso perde il filo quando la trama inizia a complicarsi, riesce a seguirla con facilità. Le cutscene (i filmati) sono realizzate in modo professionale, tanto che a tratti sembra di guardare un film: alcune di esse, infatti, possono durare anche più di 10 minuti (quindi, se avete lo standby attivo, vi consiglio di muovere il mouse di tanto in tanto!). Non mancano le scene d'azione, inclusi i QTE contro i boss, né i momenti commoventi (sfido chiunque a non piangere alla fine del capitolo 6). I personaggi, poi, hanno ciascuno la propria storia, i propri principi morali e (i cattivi, soprattutto) il proprio modus operandi.
Oltre alla storia principale, nel gioco si troveranno numerose missioni secondarie che spaziano dal ridicolo, al toccante, all'assurdo, spesso con un'abbondante dose di umorismo giapponese: fingersi produttore televisivo e interpretare il gergo tecnico del regista, fare la parte del fidanzato dinanzi al padre di una ragazza appena incontrata, aiutare una "calamita per malviventi" ad attraversare un ponte senza essere picchiato, salvare una ragazza da un culto-fregatura e così via. In alcune non manca la morale, da "se devi dire qualcosa, non girarci attorno" (classica) ad "anche gli artisti di strada lavorano duro e meritano la nostra ammirazione" (un po' meno classica).

Gameplay
Yakuza 0 può essere diviso in tre grandi modalità.
Per gran parte del gioco saremo liberi di esplorare i quartieri di Kamurocho, a Tokyo, o Sotenbori, a Osaka. Si potranno provare le attrazioni principali, i ristoranti tipici e interagire con le persone per avviare missioni e minigiochi. Ogni tanto ci si imbatterà in qualche brutto ceffo contro cui si dovrà combattere.
La seconda parte è proprio il combattimento, a cui il gioco dà molta importanza. Ogni personaggio ha la possibilità di scegliere tra tre stili diversi o di utilizzare un'arma. Ogni metodo possiede vantaggi e svantaggi, nonché combo e mosse speciali uniche; l'abilità nel combattimento si può migliorare spendendo soldi o allenandosi con un mentore, cose che permettono anche di sbloccare mosse nuove. In questo senso, il giocatore è spinto a provare combinazioni e stili di gioco diversi - il gioco stesso dissuade dall'usare la stessa mossa speciale, chiamata heat move, più volte, diminuendone il danno.
La terza parte comprende tutti i minigiochi presenti nel mondo di gioco. Tra di essi cito biliardo, freccette, bowling, diversi giochi arcade e d'azzardo, mahjong, shogi, pesca, karaoke, ballo e slot car, ma ce ne sono molti altri. Inoltre, da un punto in poi della storia si sbloccherà un minigioco gestionale per ciascun personaggio che potrà richiedere anche ore per essere completato, ma che rimane assolutamente opzionale (anche se ne vale decisamente la pena).

Grafica
Dal punto visivo il gioco si presenta molto bene: sia Kamurocho che Sotenbori appaiono pieni di vita, con gente che dialoga, guarda le vetrine, passeggia o aspetta fuori dai locali. Gli edifici, di notte, sono illuminati da luci al neon e ricchi di insegne e pubblicità, tanto che sembra di essere davvero in Giappone negli anni '80. Degno di nota è anche il dettaglio nei modelli dei personaggi, a tal punto che si riescono a vedere persino i pori sul viso.

Colonna sonora
Le musiche sono appropriate al tono e all'epoca del gioco: durante la storia o le missioni secondarie spesso i dialoghi sono accompagnati da una traccia che crea l'atmosfera adatta alla situazione, anche se, essendo in numero limitato, sono spesso ripetute. È da notare, inoltre, che ogni stile di combattimento ha una traccia abbinata alle tecniche usate (esempio: lo stile Beast ha toni più duri e pesanti; Rush, invece, ha un tempo veloce), così come ogni boss e cattivo principale. È interessante il karaoke, dove si possono cantare canzoni tipiche degli anni '80 in Giappone, alcune delle quali che sembrano descrivere la personalità dei personaggi. In discoteca, ovviamente, si possono ballare canzoni disco, alcune in giapponese e altre in inglese.

Controlli
Yakuza 0 è un port da PS3 e PS4, quindi non sorprende che anche il gioco stesso suggerisca di utilizzare un controller; detto questo, non ho trovato grossi problemi con mouse e tastiera. L'unico fastidio che ho riscontrato riguarda il movimento della visuale che risulta essere troppo lento, indipendentemente dalla velocità con cui si muove il mouse. Alcuni abbinamenti dei tasti, poi, sono piuttosto bizzarri (P in combattimento? Clic sinistro/destro nei minigiochi gestionali e nel mahjong?), anche se sempre modificabili.

Conclusione
Tirando le somme, consiglio vivamente a chiunque di giocare a Yakuza 0: la storia è interessante, c'è un'infinità di attività secondarie e l'unico bug che ho riscontrato è l'eventuale corruzione dell'audio, che però dura solo un paio di secondi e avviene di rado.
Posted November 25, 2018. Last edited November 25, 2018.
Was this review helpful? Yes No Funny Award
1 person found this review helpful
10.0 hrs on record (6.2 hrs at review time)
The Journey Down: Chapter Two è il seguito della peculiare avventura africano-caraibica della casa produttrice SkyGoblin. Ho già recensito il primo capitolo; in questa rassegna mi soffermerò più che altro sulle differenze tra i due e sugli elementi inediti, evitando per quanto possibile le cose dette precedentemente.

La storia continua da dove era rimasta: Bwana, Kito e Lina, precipitati in mare, vengono recuperati da un peschereccio e portati in salvo nella città insulare di Port Artue, ma non appena mettono piede sulla terraferma scoprono di essersi fatti un pericoloso nemico. E non è il solo.

Rispetto al capitolo precedente, The Journey Down: Chapter Two presenta una ben più spiccata atmosfera noir, con tanto di gangster, autorità corrotte e fuorilegge intoccabili. Ho già parlato delle somiglianze con Grim Fandango; in questa seconda parte sembra effettivamente di essere capitati in una vera e propria Rubacava parallela. Lo squallido bar e il club da benestanti, gli scaricatori di porto senza un soldo e il rispettato capo della polizia chiaramente invischiato in loschi affari, gli amici da salvare (o che vi salveranno!) e gli sgherri mafiosi senza pietà riescono a creare, attraverso la loro contrapposizione, l'immagine di una città essenzialmente popolata da personaggi di dubbia moralità, che siano ricchi o poveri. Per fortuna non mancano alcune anime buone, e saranno queste le persone a cui si dovrà affidare Bwana.
Anche in questo capitolo è presente una forte carica umoristica che bilancia bene l'atmosfera noir, a tratti troppo seriosa, senza mai sfociare nel ridicolo. Bwana e Kito rimangono un duo spassoso, con Lina spesso costretta a rimproverare le loro spiritosaggini.

La grafica è davvero splendida: le ambientazioni, ancora una volta dipinte a mano, sembrano quasi reali. Gli sviluppatori sono persino riusciti a rendere l'effetto della pioggia in modo davvero convincente. Oltre agli sfondi, ho particolarmente apprezzato il design della nave pirata dei Sisulus, che sembra quasi uscita da un Final Fantasy e che è stata un'aggiunta inaspettata. Infine, se non consideriamo lo scontro "finale" tra Barlow e i gangster, in cui questi ultimi cadono come birilli attratti da una gravità 10 volte maggiore, i filmati sono ben fatti e ben animati.

Il comparto sonoro è pari se non migliore rispetto a quello del gioco precedente. Le melodie reggae sono quasi completamente scartate a favore di musiche jazz e swing in stile Grim Fandango che rendono l'atmosfera noir ancora più immersiva, con la partecipazione della band Straight No Chaser. Ogni tonalità, che sia nelle scene di gioco o nei filmati, mi è sembrata azzeccata e gradevole.

In questo capitolo sono presenti molti personaggi che vanno e vengono, e hanno tutti una qualche particolarità che li fa sembrare ben più di semplici comparse. Detto questo, non c'è nessuno che spicchi per memorabilità, e alcuni mi sono sembrati poco sfruttati, come la "regina" dei pirati Sisulus, per esempio. Mi sarebbe anche piaciuto sapere cosa ne è stato di alcuni personaggi dopo la partenza da Port Artue, ma lo svolgimento della trama lo rendeva proibitivo.

(Ricordo ancora una volta che sia sottotitoli che doppiaggio non sono disponibili in italiano)
Anche qui la SkyGoblin ha giocato molto sugli accenti delle diverse persone che popolano il mondo di gioco: dal pescatore australiano della S.S. Biko ad Andiswa, con accento africano, ai due loschi scaricatori di porto che ricordano i gangster americani nel parlare, fino a personaggi come Morten, Raynolds e Joe che non riesco a identificare, ma che possiedono ciascuno una parlata particolare. Questi piccoli dettagli, se notati, rendono l'ambientazione davvero vibrante e distinta.
Anche il doppiaggio stesso è apprezzabile: è addirittura migliore rispetto al capitolo precedente. L'unico che un po' stona, a parer mio - e mi dispiace dirlo -, è proprio Bwana, che appare più esagerato e fin troppo entusiasta, ma per fortuna nei limiti accettabili.

La difficoltà è ancora una volta bassa. Tutta l'avventura si può risolvere col puro ragionamento logico senza neanche stare troppo a pensare. L'unico punto critico riguarda forse il terminale, ma se si fa attenzione ai dialoghi si capisce come avanzare. La durata è di circa 6 ore, il doppio del capitolo 1, e anche in questo caso la fine lascia la narrazione alquanto in sospeso.

Non ho incontrato bug particolari. L'unica cosa che mi ha fatto storcere il naso è la presenza di errori di scrittura, e non parlo solo dei due puntini di sospensione al posto di tre (che, a tutto dire, c'erano anche nel primo capitolo). Ciò a cui mi riferisco è il libro di navigazione, che ha delle imprecisioni davvero fastidiose: cose tipo "it's" al posto di "its" come aggettivo possessivo e "you're" al posto di "your" abbassano la qualità del gioco, e non c'è scusa che tenga dal momento che un qualsiasi correttore di bozze madrelingua avrebbe potuto controllare e correggere le linee di testo in meno di una giornata.

Un'ultima critica va ad alcuni elementi del gioco poco sfruttati. Escludendo i pirati Sisulus già menzionati, mi sarebbero piaciuti ulteriori enigmi basati sul libro di navigazione; inoltre l'ultimissima parte sarebbe potuta essere un po' più lunga.

Per concludere, The Journey Down: Chapter Two è un solido punta-e-clicca dotato di buone ambientazioni, grafica gradevole e personaggi interessanti. La semplicità degli enigmi e la durata non troppo elevata potrebbero lasciare un pizzico di amaro in bocca una volta finito il gioco, ma nel complesso l'avventura di Bwana, Kito e Lina non può che far sorridere. Consigliato ai neofiti, a chi sia alla ricerca di un gioco "light" o a chiunque desideri immergersi in un mondo inusuale e accattivante.
Posted April 8, 2017. Last edited April 8, 2017.
Was this review helpful? Yes No Funny Award
2 people found this review helpful
8.1 hrs on record (5.5 hrs at review time)
The Journey Down: Chapter One è l'inizio di un'intrigante avventura in cui si vestono i panni di Bwana, giovane coproprietario, insieme al suo amico di lunga data Kito, di un'impresa di noleggio aerei e rifornimento denominata Kaonandodo's Gas 'n' Charter. Un giorno ricevono la visita di un'inaspettata cliente che ha bisogno non di benzina, ma di un raro e pericoloso libro che solo loro possiedono; ha così inizio l'avventura di Bwana, che dovrà farsi in quattro per riparare il suo vecchio idrovolante e portare Lina in salvo lontano da St. Armando.

Nel descrivere i pregi del gioco è quasi obbligatorio cominciare dall'ambientazione: già dal filmato iniziale si capisce subito che gli sviluppatori si sono effettivamente impegnati nel rendere i luoghi e i personaggi unici e originali. È evidente l'ispirazione da Grim Fandango: se lì il mondo era una mescolanza di cultura messicano-azteca in stile noir, in The Journey Down: Chapter One l'ambiente è di tipo africano-caraibico. Tutte le persone nel mondo di gioco hanno volti che risembrano autentiche maschere africane, nonché nomi legati al Continente Nero - senza parlare dello spiccato accento giamaicano di alcuni personaggi, primo tra i quali il protagonista. A tutto questo, come in Grim Fandango, si aggiunge un richiamo alla mafia in stile Il Padrino che si concretizza ovviamente nei nemici principali (i quali, in realtà, sono relegati solo ai margini del gioco). Anche la città in cui si svolge l'avventura, St. Armando, è degna di nota: illuminata più di un albero di Natale e "dotata di un'anima propria", come dicono gli abitanti. È un peccato che la storia sia confinata all'area portuale e periferica di Kingsport Bay, cosa che non lascia la possibilità di godere appieno delle bellezze della città.

Il personaggio principale, Bwana, è un ragazzo (non viene mai esplicitata l'età) povero ma ottimistico. La radice del suo carattere va ricercata nel suo passato, che viene raccontato attraverso i dialoghi con gli altri personaggi e le fotografie incorniciate nella casa del protagonista. La vita da mascalzone insieme all'inseparabile Kito, l'adozione da parte del vecchio pilota Kaonandodo e la scomparsa di quest'ultimo formano una piccola storia chiusa nello sfondo della narrazione e allo stesso tempo intrinseca nel protagonista.

Il gameplay è molto semplice: un clic, che sia destro o sinistro, permette di esaminare/raccogliere/usare/parlare e via dicendo. L'inventario compare nella parte bassa dello schermo quando si muove il mouse in basso; analogamente succede per il menù di salvataggio nella parte alta dello schermo. La difficoltà è bassa: considerate che l'ho iniziato una mattina e, con le dovute pause tra una sessione e l'altra, non erano neanche le due del pomeriggio che l'avevo già finito. Con una durata di circa 3 ore ed enigmi logici e fattibili, lo consiglio a chiunque desideri prendere conoscenza con i giochi punta-e-clicca. Ciò non significa che i veterani ne resteranno delusi, in quanto The Journey Down: Chapter One presenta diversi richiami ai giochi di avventura più famosi: da una gomma di masticare alla menta, la preferita del protagonista (riferimento a Day of the Tentacle), a un enigma in cui bisogna convincere un topo a uscire dal suo nascondiglio (vedi Monkey Island 2), a una situazione in cui si rimane rinchiusi, con il nemico pronto a sfondare la porta, nella sala motori di una nave (il già menzionato Grim Fandango).
Ciò che non mi ha convinto perché troppo semplificati sono i rompicapi (chiamati anche puzzle o minigiochi). Un esempio che mi ha particolarmente infastidito è la parte in cui bisogna identificare il codice della carta di accesso: dopo qualche tentativo errato il protagonista stesso mi ha dato un indizio così grande che ha tolto tutto il divertimento.

Il comparto sonoro è eccellente: l'ambientazione africano-caraibica viene concretizzata nella colonna sonora reggae, spesso mescolata con influenze jazz, che risulta molto gradevole anche ai non appassionati del genere. La stessa musica del menù principale anticipa ciò che si sentirà nel corso dell'avventura. Anche qui si può notare l'influenza di Grim Fandango, dal momento che un paio di scene usano una musica di sottofondo spiccatamente jazz.

La grafica è molto gradevole, con fondali ben definiti e dipinti a mano. Una delle cose che mi ha colpito di più sono le animazioni: di solito in questi giochi viene usato un movimento "standard" per indicare l'interazione del personaggio principale col mondo di gioco; qui, invece, la stessa animazione non viene mai usata due volte. Similmente sono degni di lode i filmati, che fanno uso di inquadrature da film e sono ben animati.

Una delle cose che potrebbe allontanare molti giocatori italiani è il fatto che non sia disponibile la lingua italiana né per il doppiaggio, né per i sottotitoli. Detto questo, le voci inglesi sono perlopiù convincenti. Un particolare apprezzamento va alle voci di Kito, Mama Makena e soprattutto Bwana, che hanno uno spiccato accento giamaicano. Gli altri personaggi non sono niente di che in quanto a doppiaggio, ma sono piuttosto peculiari: tra un tanto raffinato quanto disastroso chef cinese, un pescatore che ha paura dei topi, un usciere francese dalla bassa autostima e un aviatore con le vertigini è innegabile affermare che il cast sia molto vario e umoristico, com'è d'uso nei giochi del genere punta-e-clicca.

In conclusione, l'ambientazione inusuale ma accogliente e gli enigmi logici rendono il gioco apprezzabile da chiunque desideri provare qualcosa di nuovo. A causa della bassa durata, dell'eccessiva semplicità e del finale sospeso si sarà praticamente costretti a comprare il secondo capitolo, ma saranno soldi ben spesi.
Posted March 20, 2017.
Was this review helpful? Yes No Funny Award
1 person found this review helpful
23.9 hrs on record
Premessa: La recensione riguarda la versione inglese del gioco. I nomi di luoghi e personaggi potrebbero essere diversi se si gioca con sottotitoli in italiano.

The Night of the Rabbit è un gioco di avventura punta-e-clicca della Daedalic Entertainment in cui il protagonista è Jeremiah (o Jerry) Hazelnut, un ragazzino dodicenne che ha un sogno: diventare un mago. A due giorni dalla fine delle vacanze estive, Jerry trova nella cassetta delle lettere un misterioso messaggio-poesia che descrive, in rima, un rituale per evocare una "fiamma di carota". Intrigato, decide di portarlo a compimento; inizia così la sua avventura per realizzare il suo sogno.

La parte principale della trama è molto semplice: un coniglio antropomorfo, il marchese De Hoto, prende il giovane Jerry sotto la sua ala per insegnargli a diventare un treewalker, categoria di maghi che, passando di mondo in mondo attraverso portali legati a particolari alberi, aiutano la gente in difficoltà. Il nostro Jerry dovrà quindi portare a compimento il suo addestramento, passando in quattro diversi mondi dove imparerà quattro diversi incantesimi. Questa storia si intreccia con le vicissitudini dei cittadini di Mousewood - ognuno con i propri problemi e obiettivi - e con altri interrogativi che avranno risposta solo alla fine della storia, tra i quali il più martellante è sicuramente "Chi è il Grande Zaroff?". Quando meno ce lo si aspetta, arriva anche un piccolo accenno all'importanza della salvaguardia del territorio e dei problemi dell'urbanizzazione; l'ho trovato un po' fuori luogo, ma effettivamente è utile alla trama.

L'ambientazione è varia: il grosso dell'avventura si svolge a Mousewood, una "città in miniatura" abitata da esseri antropomorfi, principalmente topi e scoiattoli, che non può che far venire in mente i film della Disney e le fiabe per bambini; in più, ognuno dei diversi mondi a cui si accede tramite i portali è unico e peculiare, ma se ne parlassi finirei per togliere parte del godimento del gioco.
Lo stile utilizzato per definire le diverse ambientazioni è sempre minuzioso e soddisfacente: tutti gli sfondi sono dettagliati e di alta qualità e dall'aspetto dei personaggi si riesce immediatamente a capire il loro carattere. Piccole minuzie, come lo spaventapasseri che sovrasta il campo di grano, gli auricolari che compongono il set radiofonico di Ludwig Burrower o gli edifici ricavati dai tronchi d'albero, ricordano che anche in un mondo così minuto c'è chi vive una vita simile alla nostra. Degna di nota, infine, è la stanza del Vecchio Mago: una delle ambientazioni meglio riuscite che riesce a dare un senso di piccolezza e vulnerabilità.

La difficoltà è nella media. Ci sono stati un paio di momenti in cui ho dovuto ragionare molto sul da farsi, ma non ho mai sentito il bisogno di guardare le soluzioni. In particolare, la parte in cui bisogna accedere al secondo albero è sicuramente la più ostica e l'unica in cui sia necessario ragionare fuori dagli schemi.
Il tasto spazio, che permette di visualizzare tutti gli oggetti con cui si può interagire, e il diario di gioco vengono in adito nei momenti in cui si è bloccati. L'incantesimo di aiuto, invece, è piuttosto inutile, dal momento che non fa altro che ripetere una frase del marchese già sentita. Tutto sommato, la vera difficoltà risiede nell'enorme mondo di gioco, con numerosissimi luoghi accessibili quasi fin da subito: le prime ore sono necessariamente da spendere esplorando Mousewood e dintorni, raccogliendo oggetti e facendo conoscenza con gli abitanti.

Una cosa che differisce molto dai classici giochi punta-e-clicca è la poca presenza della comicità. In The Night of the Rabbit l'obiettivo è quello di raccontare una storia fiabesca con personaggi memorabili e ben caratterizzati, ma purtroppo in questo caso viene dato poco spazio all'umorismo, se non verso la fine della storia. Ecco perché ho particolarmente gradito l'ultima parte del gioco, in cui si fa la conoscenza del nemico principale. Più in dettaglio, la "rappresentazione teatrale" di Zaroff in quattro atti con i suoi commenti sarcastici, il duello finale, il lungo filmato che segue e infine l'addio agli abitanti di Mousewood sono senza dubbio il punto forte del gioco. Le risate, l'azione, il senso di compimento racchiusi in quel paio d'ore rendono il gioco degno di essere giocato anche solo per assistere al finale e sapere la verità su tutte le domande che pone la storia.

La colonna sonora del gioco mi è piaciuta: ho apprezzato le musiche dei filmati, il "piccolo concerto" di Kitsune e Plato verso la fine del gioco e, in particolare, la musica del menù principale. La colonna sonora che accompagna il punta-e-clicca vero e proprio non è particolarmente memorabile, ma è sicuramente gradevole.
I filmati sono un punto di forza anche visivamente. È un peccato che siano così pochi e, spesso, così brevi.

Come già accennato, ho giocato a The Night of the Rabbit con lingua e sottotitoli in inglese, sebbene questi ultimi siano disponibili anche in italiano. Detto questo, il doppiaggio è fenomenale. Tutti i personaggi tranne un paio hanno un accento peculiarmente britannico o comunque del Regno Unito (i più esperti potrebbero accorgersi anche di differenze regionali) e ognuno di essi risulta credibile e non esagerato. Jerry è molto convincente, così come il permaloso proprietario del giardino con accento dell'East End e il misterioso Woodsprite con una voce alla Luca Ward, per dirne un paio. Tra i più importanti doppiatori ricordiamo Wayne Forester (marchese De Hoto), che è anche la voce di Siegfried in The Witcher 1, Peter Marinker (il Vecchio Mago), che ha lavorato nelle saghe The Witcher e Dark Souls, e Brian Deacon (il Grande Zaroff).

Passiamo ai lati negativi del gioco. La buona notizia è che i bug sono pochi e, seppur fastidiosi, principalmente visivi. Ne ho incontrato solo uno che non mi ha permesso di andare avanti; consiglio quindi di alternare tra due slot di salvataggio per evitare tali problemi. Il resto è quasi insignificante: la testa di statua appena al di fuori di Mousewood dà frasi sbagliate quando si usano oggetti sopra; parimenti per la finestra dietro la casa dei nani, dopo aver curato Steinberg; se si carica la partita in determinati punti, non vengono caricate le immagini di alcuni personaggi; alcune linee di dialogo sono tagliate prematuramente (si parla di frazioni di secondo).

Oltre ai bug, ci sono altre cose che mi hanno fatto storcere il naso. Innanzitutto i dialoghi con i personaggi sono estremamente guidati: le frasi che si possono scegliere sono poche e quasi sempre necessarie; non si potrà quasi mai chiedere informazioni riguardo al mondo di gioco se non andando avanti con la trama (per esempio, avrei voluto sapere di più sui corvi, ma non c'erano dialoghi a riguardo). Poi un sacco di frasi sono ripetute: ad esempio, se si parla col marchese De Hoto riguardo ai treewalker, dirà pari pari le parole proferite verso l'inizio dell'avventura. Infine, se si provano ad usare in modo errato gli oggetti dell'inventario con il mondo di gioco la frase risultante sarà sempre la stessa, se non in rari casi.

Un'altra cosa interessante è che da un certo punto in poi si sbloccherà un gioco (opzionale) di carte. Se siete come me, in men che non si dica vi ritroverete a sfidare ogni abitante di Mousewood neanche foste Geralt di Rivia. È una novità nel genere dei giochi punta-e-clicca e devo dire che l'ho trovato piuttosto interessante.

Per un easter egg, se ci riuscite, prima di entrare nel terzo portale portate con voi del caffè (che sia caldo, mi raccomando!) e provate ad usarlo sui personaggi che troverete.

The Night of the Rabbit è un gioco che consiglio a tutti: la difficoltà è accessibile e la storia solo ingannevolmente semplice. I personaggi memorabili e le ambientazioni suggestive rendono l'avventura indimenticabile.
Posted March 11, 2017.
Was this review helpful? Yes No Funny Award
3 people found this review helpful
17.5 hrs on record
The Whispered World è un gioco d'avventura punta-e-clicca in cui impersoneremo Sadwick, un clown triste e depresso che detesta la sua esistenza. Egli, pur di evitare le sue aborrite mansioni, finisce per cacciarsi in una situazione fuori dalla sua portata e gli viene predetto che distruggerà il suo mondo. Spaventato, ma anche deciso a non lasciare che la sua vita sia dettata da una profezia, decide di correre ai ripari per cercare, invece, di salvare un mondo già sull'orlo della rovina. Riuscirà il povero Sadwick, insieme al suo multiforme bruco domestico Spot, a cambiare il suo destino?

Il gioco presenta una peculiare ambientazione: inizialmente non pare altro che il classico mondo fantasy con strane creature umanoidi, folletti e natura animata, ma proprio quando meno ce lo si aspetta The Whispered World colpisce con elementi inattesi. Cose come energia elettrica e treni a vapore sembrano fuori posto, eppure riescono a integrarsi con il resto del paesaggio e danno da pensare se per caso non ci sia qualcosa di più in quello strano mondo. Tutte domande che avranno una risposta nel finale.

Graficamente il gioco non presenta grandi pecche se non una: non è disponibile la risoluzione in 16:9, e si è costretti a giocare in 4:3. Effettivamente, considerando che è stata fatta una "Special Edition", avrebbero potuto pensarci, ma tempo 1-2 ore e nemmeno ce ne si accorge più.
La grafica di per sé è molto gradevole, con sfondi nitidi e suggestivi e personaggi tanto familiari quanto fantastici. Ho notato solo un minuscolo difetto, ma non merita neanche di essere menzionato. In particolare ho apprezzato le cutscene (i filmatini) che sono ben disegnate e animate, anche se in una di esse il doppiaggio era sfasato di qualche secondo rispetto alle immagini. Da sole potrebbero benissimo essere scambiate per un cartone animato di alta qualità.

Il doppiaggio è presente solo in inglese, tedesco e russo, ma si possono scegliere i sottotitoli in italiano. Premetto che ho selezionato lingua e sottotitoli in inglese, perciò le mie considerazioni si baseranno su questo.
La parte di doppiaggio è accettabile, ma ha i suoi alti e bassi. Per cominciare in bellezza, nonostante tra le altre recensioni abbia letto tutt'altro, a mio parere Sadwick è stato ben interpretato: molta gente si lamenta sia della sua voce, ritenuta fastidiosa, che, in particolare, del suo atteggiamento pessimistico anche quando si provano ad esaminare oggetti insignificanti; tuttavia non mi sembra che nessuno abbia mai infierito su un Guybrush Threepwood o un Rufus che spara battute ogni singola volta che si provano a combinare due oggetti qualsiasi (non che sia il mio caso). A me Sadwick non ha dato fastidio: è semplicemente un personaggio diverso e andrebbe considerato come tale.
Accanto al protagonista troviamo personaggi con accenti sia americani che britannici/simil-britannici e, soprattutto dei primi, alcuni sono decisamente doppiati "alla buona" - vedi Gourney e praticamente tutti i personaggi interpretati da quel tale. Va anche detto che il numero di doppiatori che sono stati adoperati è piuttosto esiguo, ma forse avrebbero potuto sceglierli un po' meglio. In ogni caso, oltre al protagonista ho apprezzato in particolare Loucaux per la sua voce e Bobby per il suo modo di parlare, che lo rende un personaggio ben riuscito.

The Whispered World non presenta alcun bug vero e proprio, salvo uno riguardo all'achievement "Tuboloso!", per ottenere il quale bisogna risolvere l'enigma dei tubi dopo aver riempito il recipiente vicino (l'avessi saputo prima...). C'è anche qualche piccolo errore di localizzazione o distrazione, nella fattispecie un paio di oggetti hanno erroneamente il nome in tedesco e alcune interazioni danno come risposta una frase sbagliata, ma nel complesso non è niente di grave.

Sulla storia in sé, intesa come successione di eventi, non ho molto da dire. È interessante perché, come ho detto prima, mescola idee prettamente fantasy con elementi inaspettati (anche se non hanno un ruolo centrale), ma per il resto non c'è nulla che risalti particolarmente. Come in ogni punta-e-clicca che si rispetti è presente una buona dose di umorismo; esso contrasta perfettamente con il personaggio di Sadwick, triste e buono a nulla ma, in realtà, sempre speranzoso e pronto ad aiutare chi ne ha bisogno. Ho apprezzato anche il leitmotiv dei pantaloni del nonno, la cui comparsa funge da orologio narrativo e sembra quasi scandire le diverse sezioni dell'avventura. In più, se vi piacciono i giochi che vi fanno riflettere, si dipana soprattutto verso la fine una questione simil-filosofica sulla contrapposizione stagnazione-divenire, che se si presta attenzione si può ritrovare menzionata lungo tutta la storia, in particolare nel capitolo II. Niente di particolarmente profondo, ma mi sembrava giusto menzionarla.

Il gameplay varia leggermente rispetto a quello degli usuali giochi punta-e-clicca, nel senso che per interagire con un oggetto bisogna tenere premuto il tasto sinistro del mouse e poi selezionare una delle tre icone che saranno comparse. Può dare fastidio, ma almeno non si rischia di cliccare accidentalmente sugli oggetti della scena. Consiglio di provare sempre ciascuna delle tre opzioni per sentire tutte le divertenti risposte che Sadwick ha da offrire. Un'altra opzione utile è quella di poter evidenziare gli oggetti con cui si può interagire tenendo premuto spazio e, credetemi, vi servirà.
Anche se non ho dovuto guardare le soluzioni, ho indubbiamente qualche critica da rivolgere verso gli enigmi. Innanzitutto, se devo essere sincero, nel capitolo I mi è parso di agire quasi totalmente a caso fino alla fine, quando si capisce effettivamente cosa bisogna fare. Soprattutto ho da ridire riguardo a (spoiler in arrivo) quando, nel castello a Corona, bisogna usare i chiodi sulla lavagna per poter prendere il corno-imbuto dall'astronomo. Ci sono arrivato solo per tentativi (anche perché non c'era modo di saperlo se non con moooolta immaginazione) provando ogni cosa dall'inventario su ogni oggetto. Alcuni giocatori hanno espresso il loro disappunto su altre situazioni, ma a mio parere è tutto fattibile se si è veterani dei giochi di avventura - anche se vi sfido a non procedere nemmeno una volta per tentativi. I rompicapi, tranne quello delle cinque leve all'inizio del capitolo III (ho dovuto guardare una soluzione per capire come avessi fatto a risolverlo), sono invece ingegnosi e ben pensati; in particolare ho gradito quello dei pianeti verso la fine.

Per chi fosse nuovo al genere, o per chi si reputasse scarso, posso dare un paio di dritte (se volete un'esperienza hardcore saltatele pure):
• ci sono molti oggetti da "falsa pista" che servono unicamente per creare atmosfera, ma sono molto evidenti;
• le porte (chi ha orecchie per intendere...).

Una piccola considerazione riguardo al finale, senza spoiler: io l'ho trovato del tipo "o la va, o la spacca", nel senso che o lo considererete un cliché da quattro soldi, oppure dolce e rivelatore, ma è più probabile la prima. Consiglio comunque di tenere le aspettative basse per evitare possibili delusioni.

In conclusione, consiglio agli appassionati del genere di provare The Whispered World. Perché? Perché, nonostante un paio di soluzioni molto fantasiose a degli enigmi, un doppiaggio così-così e qualche dubbia scelta degli sviluppatori, in realtà è molto gradevole sia a vedersi che a giocarsi e non potrete fare a meno di avere a cuore la storia di Sadwick e del simpaticissimo Spot, aspettando con ansia il momento in cui il Destino faccia un passo falso.
Posted February 19, 2017. Last edited February 19, 2017.
Was this review helpful? Yes No Funny Award
1 person found this review helpful
24.9 hrs on record
Grim Fandango è un gioco d'avventura punta-e-clicca in cui impersoneremo Manuel (Manny per gli amici) Calavera, agente di viaggio del Dipartimento Della Morte, o DDM, che, nell'aldilà, vende pacchetti viaggio alle anime dei deceduti: i più pii e meritevoli possono ottenere il biglietto per il Numero Nove, il rapidissimo treno per il riposo eterno, mentre i più malvagi saranno fortunati a ritrovarsi con un bastone da passeggio. Manny si accorge che qualcosa non quadra: tutti i clienti migliori vengono assegnati al suo rivale in affari, Domino Hurley. Decide allora di mettere le cose a posto, ma la faccenda è più pericolosa di quanto possa pensare...

Il gioco è ben caratterizzato, con un'atmosfera ben riuscita. Uno dei lati più evidenti è quello noir, che si manifesta sia attraverso i personaggi che attraverso la storia. Abbiamo elementi che ricordano molto film come Il Padrino: tra questi il malvagio Hector LeMans, il cattivo principale che è appropriatamente doppiato con accento siciliano, e il poco raccomandabile Maximino, re del gioco d'azzardo di Rubacava. A tutto questo si associano scene di mistero e omicidio (il quale, nella terra dei morti, avviene in un modo curioso che lascerò a voi scoprire) che si integrano bene nella trama del gioco.
Oltre a questo, Grim Fandango presenta un'influenza della cultura messicano-azteca che è subito apparente dall'aspetto dei personaggi e dall'ambientazione: la storia, infatti, si svolge nel Día de los Muertos nel corso di quattro anni. Un tocco interessante è dato dalle numerose espressioni spagnole (per esempio, la prima frase del gioco è ¿Qué es esto?) e dalle frequenti esclamazioni, mentre attraverso i nomi dei personaggi emerge l'influsso della religione e dell'occulto: spaziano da Manuel Calavera - che, com'è noto, vuol dire "teschio" - a Olivia Ofrenda, "offerta", al malvagio boss Don Copal, un tipo di incenso, e al tatuatore Toto Santos, che ricorda Ognissanti. A tutto questo si aggiungono dei nomi che ricordano la frutta, come il ribelle Salvador Limones, il marinaio Anselmo Naranja e l'uomo che lavora all'obitorio, Membrillo.
Degno di nota, infine, è il richiamo al comunismo e ai movimenti ribelli sudamericani. Ho già menzionato Salvador Limones; oltre a lui, ricordiamo i beatnik del locale Blue Casket e le api marine scontente della loro condizione di lavoro.
Com'è solito nei giochi d'avventura, l'umorismo è uno dei punti forti di Grim Fandango. Tra dialoghi comici e assurdi (la scena del metal detector con Carla è assolutamente da seguire fino alla fine), situazioni inverosimili (come il pagliaccio che riesce a riprodurre il profilo di Sigmund Freud con i palloncini) e personaggi eccentrici (il fedele compagno Glottis è tutto da scoprire) c'è abbastanza da rendere l'avventura di Manny tanto intrigante e appassionante quanto divertente.

Il gameplay è come ci si aspetterebbe da un gioco di questo genere e non richiede di trovare oggetti malamente nascosti o di risolvere rompicapi troppo poco logici. Si può giocare sia con il mouse che con la sola tastiera, il quale, curiosamente, era il metodo originale. I tasti sono assegnati in modo tale che si possa giocare sia con due mani (frecce e tasti EUIP) che con una sola (tastierino numerico); in più sono disponibili il metodo di movimento relativo alla telecamera (quello predefinito) o i cosiddetti tank controls, che permettono di muovere Manny come fosse un carrarmato (e che, tra l'altro, se usati dall'inizio alla fine permettono di sbloccare un achievement). Un aiuto se si gioca con la sola tastiera è dato dal protagonista stesso, che muoverà sempre la testa in modo tale da fissare un oggetto della scena con cui si può interagire.
La difficoltà di Grim Fandango non è da sottovalutare. Nonostante riesca a finire giochi come Monkey Island e Deponia senza aiuti esterni, mi sono ritrovato a dover utilizzare tre piccoli suggerimenti - uno per ognuno dei primi tre anni - per andare avanti, e se non ne ho usato un altro nell'Anno IV è per pura fortuna, dal momento che un enigma può essere risolto semplicemente sparando risposte a caso (il rompicapo del casinò). Tuttavia ciò non significa che il gioco sia imperfetto, dal momento che nonostante la momentanea frustrazione non ha mai smesso di appassionarmi. Ho particolarmente apprezzato un rompicapo dell'Anno II che, per evitare spoiler, chiamerò semplicemente del fotofinish e che mi ha sorpreso per essere contemporaneamente chiaro, logico e gratificante.

La colonna sonora è davvero unica. Solitamente la musica è la parte che più trascuro di un gioco; in genere mi concentro sui personaggi e sulla storia, e quindi la musica passa in secondo piano. In Grim Fandango, invece, troviamo da un lato influenze jazz e swing che rendono ancora più realistica e immersiva l'atmosfera noir (in particolare ho apprezzato il pezzo che si sente entrando nell'ufficio di Maximino); dall'altro, ci sono tracce che richiamano il folklore sudamericano e le band di mariachi. Per questo consiglio vivamente di acquistare la versione con la colonna sonora - che, tra l'altro, è stata parzialmente riregistrata per la versione rimasterizzata. Alternativamente, le tracce originali del 1998 sono accessibili su questo sito[www.grimfandango.net] (ma ne mancano alcune rispetto alla colonna sonora su Steam).

Nonostante la versione rimasterizzata, la parte grafica, paradossalmente, è stata quella che mi ha colpito di meno. Non ho giocato all'originale, ma in Grim Fandango Remastered è possibile passare da una versione all'altra premendo backspace. Mi ha sorpreso il fatto che molti fondali non fossero stati minimamente toccati; i personaggi invece, seppur con poche differenze estetiche rispetto agli originali, sono ben illuminati e ombreggiati. Mi sarei aspettato di più, considerando che il livello grafico è quello principale quando si tratta di rendere i vecchi giochi più "al passo coi tempi".

Il doppiaggio italiano è molto ben riuscito; tra i doppiatori si distinguono Renato Cecchetto (famoso per aver interpretato Shrek) nel ruolo di Manny e Riccardo Rovatti (Plankton di Spongebob, per intenderci) che dà la voce a Don Copal e Chowchilla Charlie. Le pecche, a mio parere, sono poche: se proprio devo fare il pignolo, ci sono giusto qualche linea di dialogo e qualche personaggio (come il marinaio Velasco, che a tratti sembra quasi che parli al rallentatore, o Lupe, che ha una strana inflessione della voce) che sembrano un po' innaturali, ma non tolgono nulla al godimento del gioco. Ho inoltre apprezzato l'impegno speso nel rendere i personaggi il più realistici possibile: per esempio, il demone viola anonimo che lavora al DDM parla con accento sudamericano, mentre, come ho scritto prima, il cattivissimo Hector LeMans ha un accento siciliano. Mi è piaciuto anche il fatto che i doppiatori si siano sforzati a pronunciare le parole spagnole come dovrebbero essere pronunciate. Dico "sforzati" perché qualche piccolissimo errore c'è comunque stato, ma è solo pignoleria.

Concludendo, Grim Fandango è assolutamente consigliato per gli appassionati dei giochi di avventura punta-e-clicca e per chiunque stesse cercando un'introduzione al genere. Qualche parte potrebbe sembrare un po' tosta, ma la soluzione non è mai talmente assurda da risultare impossibile. Consiglio questo sito[www.uhs-hints.com] (che purtroppo ho scoperto solo dopo aver finito il gioco...) se avete bisogno di piccoli aiuti e non volete rivelazioni troppo palesi.
Posted January 5, 2017. Last edited November 26, 2017.
Was this review helpful? Yes No Funny Award
Showing 1-8 of 8 entries